LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Olivotti Adriano, elettivamente domiciliato in Roma, via Alberico II, 33, presso l'avv. Bruno Cossu che insieme all'avv. Alessandro Miglioli lo rappresenta e difende per procura in calce al ricorso, ricorrente; contro il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bologna; e Delfari Pietro e Delfari Moreno, intimati, avverso decreto della Corte di appello di Bologna del 22 marzo 1993; Udita nella pubblica udienza del 21 novembre 1994 la relazione del cons. Giuseppe Borre'; Udito l'avv. Cossu per il ricorrente, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; Sentito il p.m., in persona del dott. Carlo Tondi, il quale ha concluso per la inammissibilita' del ricorso e in subordine per il rigetto. LA CORTE OSSERVA 1. - Con ricorso al tribunale di Bologna Adriano Olivotti, nato il 17 aprile 1949, chiese che si facesse luogo all'adozione, da parte sua, del maggiorenne Moreno Delfari, nato il 14 aprile 1974 dall'unione matrimoniale tra Pietro Delfari e Maria Sterbizzi, quest'ultima successivamente coniugatasi, il 20 febbraio 1988, con esso ricorrente, con cui aveva generato due figli, nati nel 1988 e nel 1990. Preciso' l'Olivotti che l'adottando da tempo conviveva con lui e con la madre Maria Sterbizzi, nonche' con i fratelli uterini, appartenendo, nei fatti, a tale nucleo familiare. Il tribunale, nonostante l'assenso prestato dall'adottando, dalla di lui madre (coniuge dell'adottante) e dal di lui padre (Pietro Delfari), rigetto' il ricorso per la presenza di figli minorenni dell'adottante, ritenendo manifestamente infondata l'eccezione di illegittimita' costituzionale sollevata dall'Olivotti relativamente a tale elemento ostativo. La pronuncia, fatta oggetto di reclamo da parte dell'Olivotti, fu confermata, con decreto del 22 marzo 1993, dalla Corte di appello di Bologna, la quale, premesso che l'art. 291 c.c., quale risultante dall'intervento operato dalla Corte costituzionale con la sentenza 19 maggio 1988, n. 557, non contiene piu' l'originario divieto di adozione da parte di soggetti aventi discendenti legittimi o legittimati, ma ammette l'adozione allorche' tali discendenti siano maggiorenni e consenzienti, ha escluso che tale residua condizione confligga con gli artt. 2 e 3 della Costituzione, da un lato perche' la doverosa tutela nei riguardi dei discendenti legittimi impone la previsione del loro assenso, dall'altro perche' la diversita' delle regole poste per l'adozione dei minori e' giustificata dalla finalita' di protezione di tali soggetti propria della legge 4 maggio 1983, n. 184. Contro tale provvedimento l'Olivotti ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e, quale mezzo al fine, la illegittimita' costituzionale dell'art. 291 c.c. nella parte in cui non consente l'adozione dei maggiori di eta' a coloro che abbiano discendenti legittimi o legittimati, dei quali, stante la loro minore eta' non possa essere acquisito l'assenso. 2. - Ritiene preliminarmente il collegio che il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. sia ammissibile contro il decreto con cui la Corte di appello, in sede di reclamo, provvede in materia di adozione di maggiorenne. Come questa Corte ha gia' avuto occasione di stabilire (sentenza n. 1133 del 1988) si tratta di provvedimento che, sebbene emesso in sede camerale, decide con carattere di definitivita' sull'esistenza delle condizioni per far luogo alla costituzione di uno status, incidendo sulla sfera dei diritti soggettivi. L'esame del ricorso non puo' tuttavia prescindere dalla risoluzione della sollevata questione di costituzionalita', della quale e' percio' evidente la rilevanza. 3. - L'elemento specifico, su cui il ricorrente imposta la eccezione di illegittimita' costituzionale, e' il fatto che l'adottando sia figlio del coniuge dell'adottante, fratello uterino dei figli legittimi di questo, e partecipe della vita del nucleo familiare, nel quale l'adozione lo immetterebbe anche formalmente. In tale situazione, un contrasto con gli interessi dei discendenti legittimi (in eta' minore) dell'adottante sarebbe astrattamente ipotizzabile solo dal punto di vista patrimoniale, ma e' da escludere, secondo il ricorrente, che tale tipo di interesse possa prevalere su quello dell'unita' della famiglia e della tutela dei diritti inviolabili dell'uomo in tale formazione sociale (artt. 30 e 2 Cost.). Aggiunge il ricorrente che anche l'adozione dei maggiorenni puo' avere la funzione di inserire a pieno titolo l'adottando nella famiglia di cui gia' di fatto costituisca uno dei membri; e che anche per un ragazzo che abbia superato la soglia dei diciotto anni e' importante che venga dato riconoscimento formale e rilevanza esterna all'affectio che gia' lo lega a tutti i componenti del nucleo familiare. Deduce inoltre il ricorrente che l'art. 291 c.c., pur dopo il ricordato intervento della Corte costituzionale, implica una disparita' di trattamento rispetto all'art. 44, primo comma, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184. Questo, infatti, ammette l'adozione del figlio minorenne del coniuge anche in presenza e indipendentemente dal consenso dei figli legittimi dell'adottante, maggiorenni o minorenni che essi siano (v. anche il secondo comma dell'art. 44), mentre l'art. 291 c.c., implicando l'assenso dei discendenti legittimi, preclude l'adozione del maggiorenne, ancorche' figlio del coniuge, quando i predetti discendenti siano minorenni e percio' incapaci di esprimere volonta' giuridicamente valida. Tale disuguaglianza di disciplina non sarebbe giustificata dall'essere l'adottando, nei due casi, rispettivamente in eta' minore o maggiore, perche' anche nella seconda ipotesi viene perseguito, quando l'adottando gia' di fatto appartenga al nucleo familiare, lo scopo di rendere quest'ultimo piu' armonico e completo. Ulteriore ingiustificata disuguaglianza si coglierebbe, secondo il ricorrente, in relazione all'art. 294, primo comma, del c.c., che consente l'adozione di piu' persone con atti successivi, poiche' in questo caso non si da' rilievo alla potenziale lesione di interessi patrimoniali dei soggetti gia' adottati, a tali fini equiparati ai figli legittimi. 4. - Ritiene il collegio che, pur essendosi la Corte costituzionale pronunziata piu' volte in argomento, segnando determinati limiti al proprio intervento, tuttavia non si ravvisino - almeno in questa sede, ove e' consentita soltanto una delibazione di non manifesta infondatezza - ragioni preclusive di un ulteriore approfondimento, profilandosi alcuni spazi argomentativi che meritano di essere percorsi. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 557/1988, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 291 c.c. nella parte in cui precludeva l'adozione di maggiorenne a persone che avessero discendenti legittimi o legittimati. L'interesse di questi soggetti doveva trovare espressione, come gia' era previsto per il coniuge dell'adottante e dell'adottando, in un potere di assenso all'adozione, ma non poteva l'esistenza dei soggetti medesimi essere per se' sola preclusiva. Restava peraltro fuori della nuova costruzione (e un po' in ombra anche nella motivazione della sentenza) la posizione dei discendenti legittimi o legittimati in eta' minore, come tali incapaci di esprimere l'assenso. Successivamente, con la sentenza n. 345/1992, la Corte ha dichiarato infondata la questione di legittimita' del medesimo art. 291 c.c. in relazione all'ipotesi di discendenti legittimi in stato di interdizione, avuto presente che l'art. 297 c.c. considera non ostativa la mancata prestazione dell'assenso da parte di soggetti incapaci. Si poneva, a questo punto, il problema del carattere eventualmente discriminatorio di un'interpretazione che, adottata per gli interdetti, non si estendesse ai minori, ma la Corte costituzionale, con la sentenza n. 53/1994, ha respinto la questione, distinguendo la "predeterminata transitorieta'" dell'incapacita' di agire del minorenne rispetto alla situazione di prolungata e forse irreversibile patologia che caratterizza l'interdizione. Orbene, con tale recentissima sentenza, viene decisamente chiarito che la posizione dei discendenti legittimi dell'adottante in rapporto all'adozione e' dalla Corte costituzionale considerata non come un interesse la cui ponderazione possa essere affidata al giudice, ma come un ruolo attivo che nel caso degli interdetti e' definitivamente "sterilizzato", mentre nel caso dei minorenni e' rinviato alla maggiore eta', non potendosi privare "i figli minore della personalissima facolta' - una volta divenuti maggiorenni - di valutare e decidere sui delicati interessi in gioco". Se cio' e' vero, ne discende, da un lato, che continua ad esistere, sia pur limitatamente alla categoria dei discendenti minorenni e per un tempo determinato (tempo tuttavia anche considerevole e comunque sufficiente a frustrare il fine dell'adozione), quella logica di preclusione (data dalla mera esistenza di un certo tipo di soggetti) che la sentenza n. 557 sembrava aver voluto abbattere; e, dall'altro, che la categoria degli interdetti e' definitivamente sacrificata, pur essendo titolare di diritti e aspettative patrimoniali del tutto identiche a quelle dei discendenti minorenni. Tali esiti non possono non suscitare perplessita' specialmente se posti in rapporto con la configurazione che la riforma del 1975 ha dato al procedimento di adozione di maggiorenne, consentendo al giudice di pronunziare l'adozione anche in difetto dell'assenso dei genitori dell'adottando, o del coniuge non convivente dell'adottante o dell'adottando, quando il rifiuto dell'assenso stesso sia ingiustificato o contrario all'interesse della persona da adottare (art. 297, c.c.). Essendosi, con cio', attribuito al giudice un potere valutativo, appare irragionevole che esso non si estenda, postoche' ne sarebbe identica la necessita', alla valutazione di altre situazioni problematiche, per le quali il bilanciamento degli interessi in gioco appare egualmente preferibile all'automatismo del sacrificio di un interesse rispetto all'altro. In altri termini, da una parte la posizione dei discendenti interdetti potrebbe essere affidata alla ponderazione del giudice, anziche' essere automaticamente sacrificata (come risulta dalla sentenza di rigetto n. 345/1992, cit.), e, dall'altra, a tale ponderazione si potrebbe rimettere anche la posizione dei discendenti legittimi in eta' minore, piuttosto che farne - in contrasto con lo spirito della sentenza n. 557/1988 e con la logica stessa della procedura, ormai aperta a momenti valutativi - un fattore di pura preclusione. In tal modo, secondo questa Corte, si avrebbe una disciplina realmente rispondente al canone di uguaglianza e ragionevolezza, oltreche' conforme ai principi dettati dagli artt. 2 e 30 della Costituzione. 5. - Un'area di non manifesta infondatezza sembra altresi' individuabile attraverso il raffronto con l'art. 44, primo comma, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184 ("Disciplina dell'adozione e dell'affidamento di minori"), prevedendosi in questa norma la possibilita' di adozione da parte del coniuge "nel caso in cui il minore sia figlio dell'altro coniuge", senza che rilevi la presenza e il consenso dei figli legittimi (art. 44, secondo comma). La diversita', quanto a necessita' di assenso dei discendenti legittimi dell'adottante, fra tale disciplina e quella dell'art. 291 c.c., pur nel medesimo caso di adozione del figlio del coniuge, si affida unicamente al dato della minore o maggiore eta' dell'adottando, e conseguentemente alla diversita' delle procedure utilizzabili, vale a dire ad elementi dei quali appare dubbia (anche secondo autorevoli posizioni dottrinali) la capacita' di dare razionale giustificazione al differente trattamento. La Corte costituzionale, in verita', con la sentenza n. 53/1994, cit., spiega tale diversita' alla luce della ratio complessivamente diversa degli istituti dell'adozione di maggiorenni e dell'adozione di minori, cogliendo in quest'ultima una finalita' di protezione e di assistenza dell'adottando, che e' invece assente nell'altra ipotesi. A tale sentenza e' tuttavia estraneo (almeno per quanto costa dalla motivazione) quello che e' il proprium della situazione qui esaminata, cioe' il fatto che l'adottando sia non solo figlio del coniuge dell'adottante, ma parte integrante - insieme all'adottante stesso, alla madre e ai fratelli uterini - di un comune ed unitario nucleo familiare. Tale situazione e' invece presa in esame dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 44/1990, che ha ritenuto la illegittimita' dell'art. 44, quinto comma, legge n. 184/1983, nella parte in cui, limitatamente alla lettera b) del primo comma, non consente al giudice di ridurre, quando sussistono validi motivi per la realizzazione dell'unita' familiare, la differenza di eta' di diciotto anni fra adottante o adottato. In tale sentenza e' precisato che scopo dell'adozione, nel caso di cui all'art. 44, lettera b), e' quello di "consolidare l'unita' familiare". Infatti, "senza lo strumento adozionale cosi' impiegato, malgrado la coppia genitoriale sia legata nel matrimonio, la prole riconosciuta o adottata da uno dei coniugi resterebbe estranea all'altro coniuge, non porterebbe il cognome dei fratelli uterini generati in costanza di matrimonio, vivrebbe, anche in una forte coesione affettiva, il disagio sociale della diversita' di origine, con possibili disarmonie nella formazione psicologica e morale". Insomma l'adozione del figlio del coniuge "agevola una piu' compiuta unione della coppia e della prole", mentre correlativamente si scolora la finalita' di assistenza del minore, di regola gia' fruente, nell'ipotesi considerata, di una buona "coesione affettiva" e gia' inserito nel nucleo familiare al quale, con l'adozione, lo si vuole anche formalmente ascrivere. Il discorso della sentenza gravita sul versante dell'adozione dei minori, ma non par dubbio che tale scopo di "consolidamento dell'unita' familiare" possa esser proprio anche dell'adozione di maggiorenne, quando questa riguardi il figlio del coniuge, che gia' appartenga al contesto affettivo ed organizzativo della famiglia dell'adottante: evenienza nient'affatto esclusa o resa improbabile dal raggiungimento della soglia dei diciotto anni, sensibilmente piu' lungo essendo, di regola, il periodo di permanenza dei figli presso i genitori. Quando si tratta, cioe', di adozione del figlio del coniuge, si crea fra adozione dei minori e adozione di maggiorenne una forte prossimita' sul piano dei valori, entrambe mirando a favorire la coesione affettiva e l'unita' della famiglia. Prossimita' ulteriormente sottolineata dal fatto che, ricorrendo tale situazione, da un lato arretra il profilo assistenziale dell'adozione dei minori, dall'altro si esalta, nell'adozione di maggiorenne, il profilo personalistico rappresentato dall'appartenenza dell'adottando alla comunita' familiare. Nondimeno la Corte costituzionale, con la sentenza n. 89/1993, ha dichiarato non fondata, con riferimento all'adozione di maggiorenne (art. 291 c.c.), la medesima questione dell'inderogabilita' della differenza di diciotto anni fra adottante e adottando, pur nell'ipotesi in cui quest'ultimo sia figlio del coniuge e "di fatto stabilmente inserito nel contesto familiare". A fondamento dell'opposta conclusione rispetto all'adozione di minori la sentenza indica, da un lato, la non necessita', nell'adozione di maggiorenni, dell'instaurarsi o del permanere della convivenza familiare con l'adottante e l'insussistenza del dovere di questo di mantenere, educare e istruire l'adottato; dall'altro, la limitatezza dei poteri del tribunale in tema di adozione di maggiorenne (art. 312 c.c.), tali da non consentire, come accade invece nelle procedure di adozione di minori, un penetrante ed incisivo apprezzamento degli interessi e dei valori in campo. Ritiene questa Corte che tale decisione del giudice delle leggi non chiuda il discorso ed anzi sia di stimolo a qualche approfondimento in direzione dell'ipotesi di sollevare, nel caso in esame, questione di costituzionalita'. Le caratteristiche differenziali dell'adozione di maggiorenne, rilevate da tale sentenza e sopra riferite, non paiono contrastare decisivamente tale ipotesi ove si consideri a) che la gia' esistente e non precaria convivenza dei soggetti dell'adozione e' assunta come elemento qualificante della fattispecie astratta che si ipotizza di sottoporre a controllo di costituzionalita', e b) che si sostiene in dottrina che l'adottante di maggiorenne, qualora il figlio adottivo sia in giovane eta' e non abbia ancora raggiunto l'indipendenza economica, sia tenuto a mantenerlo e a sostenere le spese per il completamento della sua istruzione, come accade (per tutte Cass. 13126/1992) per i genitori non adottivi. Ben e' vero, poi, che i poteri del giudice dell'adozione di maggiorenne, pur essendo stati (come sopra si e' detto) accresciuti dalla riforma del 1975 (nel senso della possibilita' di ritenere ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando il rifiuto di assenso dei genitori e del coniuge non convivente, nondimeno si esauriscono entro l'orbita della convenienza dell'adozione per l'adottando (art. 312, n. 2, c.c.), sicche' seriamente puo' dubitarsi della loro estensibilita' al controllo, ad esempio, del gia' esistente inserimento dell'adottando nel nucleo familiare dell'adottante e della conseguente "convenienza obiettiva" dell'adozione, come strumento di "consolidamento dell'unita' familiare". Tale constatazione, tuttavia, lungi dal costituire ostacolo all'ipotesi finora considerata di questione di costituzionalita', puo' semmai tradursi in ragione di ulteriore denuncia di illegittimita' costituzionale, ove si ritenga che l'istituto, per poter funzionare con lo spessore che tende a caratterizzarlo alla luce dei principi costituzionali, implichi, proceduralmente, la possibilita' anche di altri obiettivi di indagine e di piu' significativi bilanciamenti di valori. 6. - In conclusione, e sulla scorta della complessiva giurisprudenza della Corte costituzionale sul tema, puo' ritenersi non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 291 c.c., quale risultante dall'intervento operato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 557/1988, nella parte in cui non prevede che possa aversi adozione di maggiorenne da parte di soggetto che abbia discendenti legittimi o legittimati in eta' minore, anche quando l'adottando sia figlio del coniuge dell'adottante e sia stabilmente inserito nel nucleo familiare facente capo a tale coppia, e cio' per contrasto sia con i principi espressi negli artt. 2 e 30 Cost., in particolare per non essere previsto che l'interesse dei discendenti legittimi minorenni, non suscettibile di esprimersi attraverso il potere di assenso, possa esser fatto oggetto di ponderazione da parte del giudice, sia con l'art. 3, primo comma, Cost., attesa la ingiustificata disparita' fra la norma denunciata e l'art. 44, primo comma, lettera b), e secondo comma, della legge n. 184/1983, quale norma intesa a consolidare l'unita' del nucleo familiare ed operante anche in presenza di figli legittimi dell'adottante. La simmetria con il citato art. 44 escluderebbe del tutto l'assenso dei discendenti legittimi o legittimati, anche quando essi, per eta' e sanita' mentale, siano in grado di prestarlo; ma tale risultato (che autorevole dottrina ritiene auspicabile in termini generali sul piano legislativo) non e' strettamente imposto dal canone costituzionale di uguaglianza/ragionevolezza, il quale puo' ritenersi soddisfatto anche da una disciplina che - quando si tratti di adozione del figlio maggiorenne del coniuge, gia' immesso nel contesto familiare - per un verso conservi l'assenso dei discendenti legittimi maggiorenni e, per altro verso, tolga effetto impeditivo alla presenza di discendenti legittimi minori, demandando al giudice la valutazione degli interessi in campo e della obiettiva convenienza dell'adozione in rapporto al fine di rafforzamento dell'unita' familiare. Appare peraltro conseguenziale, in questa prospettiva, la necessita' di denunciare anche la norma di cui all'art. 312, n. 2, c.c., nella parte in cui, limitando la funzione valutativa del tribunale alla convenienza dell'adozione per l'adottando, non riconosce a tale organo poteri idonei al compimento di un piu' complesso esame come quello sopra indicato. La questione, non proposta dal ricorrente, viene sollevata d'ufficio dalla Corte, indicandosi come norme costituzionali di raffronto le stesse gia' segnalate in precedenza: gli artt. 3 e 30 Cost., in quanto la vigente costruzione del procedimento camerale non risponde alla piu' ampia valutazione implicata dai principi espressi nelle citate norme costituzionali; e l'art. 3 Cost. per la irragionevolezza di un procedimento troppo ridotto e semplificato, per ambito di indagine, rispetto a quanto previsto per le ipotesi di adozione dei minori.